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Pubblicato in Social
27.04.2020

Alla scoperta dei luoghi del FLAG Pescando. #1 - Into the wild: CAPO PECORA

A cura di Cinzia Oliveri

Foto di Ettore Cavalli

 

Partiamo insieme per un viaggio alla scoperta della Costa Ovest della Sardegna e del suo entroterra!

Esploreremo, con lo sguardo di un vero viaggiatore, un territorio incantevole e ricco di sorprese, tappa dopo tappa, alla ricerca di panorami mozzafiato e curiosità insolite, storie e consigli utili per vivere un'esperienza immersiva a contatto con la natura e la gente di una parte dell'Isola ancora poco conosciuta.

Per cominciare, ti portiamo nell'estremo sud della costa di Arbus, da Capo Pecora fino alle dune di Piscinas, inoltrandoci fino al villaggio ex minerario di Ingurtosu. Paesaggi mozzafiato, fra le dune più alte d'Europa immerse in boschi di ginepri secolari; villaggi minerari abbandonati che regalano un bizzarro scenario da film western che ha incantato registi ed artisti di tutto il mondo.

A proposito, sapevi che la band inglese dei Placebo ha girato qui il videoclip di "Jesus'Son"? Che i Nomadi hanno dedicato una canzone e il titolo di un album al villaggio minerario di Naracauli? Che nei dintorni di Ingurtosu incontrerai strani edifici che ti faranno pensare di essere in Baviera? No? Allora non perdiamo tempo e cominciamo il nostro viaggio insieme.

Partiamo da Capo Pecora, un promontorio pianeggiante, basso ed erboso, circondato da un complesso montuoso di origine vulcanica classificato come una delle formazioni geologiche più antiche d'Europa. L'intera area è riconosciuta come Sito di Importanza Comunitaria (SIC ITB040071) e una porzione di questo sito protetto fa parte dell'"Oasi WWF di Scivu" (https://www.wwf.it/oasi/sardegna/scivu/).

capo pecora 2

È il punto più meridionale della Costa Verde. Si arriva qui percorrendo la SS 126 "Sud Occidentale Sarda", nel tratto compreso tra Arbus e Fluminimaggiore, dove si imbocca il bivio con la SP 83 che, infine, si innesta con la SP 105, l'unico accesso carrabile a questa lingua di terra, una stretta striscia di asfalto che termina improvvisamente in mezzo ad un pezzo di terraferma così proteso sul mare da dare l'impressione di stare su una zattera pronta a partire. Ad accoglierti, un vecchio cartello stradale arrugginito, che ti ricorda che questo è un confine fra due mondi, da sempre connessi ma da sempre ben distinti, ovvero, le due aree minerarie più importanti della Sardegna: quella del Guspinese – Arburese e quella dell'Iglesiente, che nell'antichità facevano capo, rispettivamente, alle città nuragiche, poi fenicie e infine puniche e romane di Neapolis e Sulki. Guardando verso l'orizzonte del mare, la prima si trovava a circa 40 km di distanza, sulla destra, nei pressi della Laguna di Marceddì e la seconda a circa 40 km di distanza verso il lato opposto, nell'Isola di Sant'Antioco. Città ormai inghiottite dalla storia, eppure, qui, esattamente a metà strada fra i due baricentri secolari, si avverte ancora il fascino della frontiera, la netta sensazione di essere giunti alla fine di qualcosa o piuttosto all'inizio. Un luogo ideale per fermarsi e contemplare e in ogni stagione dell'anno c'è spesso, molto discreta, la presenza di qualche pulmino o camper con gente proveniente da ogni angolo d’Italia e d'Europa, in cerca di pace, bellezza e silenzio; quasi un moderno caravanserraglio dall'atmosfera hippie, soprattutto nei primi giorni di Luglio, quando potrebbe capitarti, con un po' di fortuna, di imbatterti per caso in qualche concerto rock sulla spiaggia, sulle rocce o in mezzo a qualche bosco nascosto, tra Capo Pecora e Portixeddu e veder suonare artisti anche famosi nel panorama musicale indie, in mezzo ad una piccola e tranquilla folla di spettatori di ogni età, per lo più nordeuropei ma anche abitanti della zona. È il "Duna Jam", un festival privato, avvolto da un'aura di mistero, che ogni anno, dal 2006, si svolge per circa una settimana in vari angoli di questa zona e dove la location viene allestita e resa nota al pubblico pagante solo all'ultimo momento, in un clima eccitante di assoluta segretezza. L'organizzatore è ufficialmente sconosciuto, anche se si rincorrono molte voci sulla sua identità e la leggenda vuole che sia lui stesso a scegliere ogni anno la lista degli invitati che si mettono in lista d'attesa, a volte per un paio di anni, per poter partecipare. Sono tutti stranieri, in maggioranza tedeschi e austriaci e ormai, negli anni, si è stretto un sodalizio amichevole fra questo pubblico e la popolazione locale, che spesso partecipa, gratuitamente, a questo bizzarro appuntamento.

Risalendo il lato nord della costa, la pianura diventa una collina, che si eleva gradualmente sul mare, poggiando su una scogliera a strapiombo che a tratti si apre, lasciando spazio a piccole spiagge e calette. La più famosa e spettacolare è quella di "Is Tramatzus", conosciuta anche come "la baia delle uova di dinosauro", che incanta soprattutto i bambini, a causa dei particolarissimi sassi di cui è composta: rocce di granito bianco, perfettamente levigate dall'azione del mare che le ha modellate in forma di spettacolari uova di pietra.

Ma l'atmosfera fiabesca, in questo promontorio selvaggio spesso sferzato dal maestrale, non è dovuta solo allo spettacolo della natura ma anche alla mano dell'uomo, che per millenni, fin dai tempi più remoti, ha popolato intensamente questi luoghi, attratti della ricchezza di flora, fauna e sorgenti d'acqua e, più tardi, dall'abbondanza di metalli nelle montagne circostanti, che per millenni hanno favorito l'affermarsi nel territorio di un'economia mineraria. Luoghi progressivamente abbandonati, in seguito alle costanti incursioni dei corsari musulmani, provenienti soprattutto dalle coste del Nord Africa e, in seguito, anche dai Califfati della Spagna che, a partire dal VIII secolo d.C e fino alla fine del XVIII secolo, hanno flagellato sistematicamente le coste sarde e la Costa Ovest in particolare, con un accanimento che non ha riscontro altrove nel Mediterraneo, senza tuttavia mai riuscire a colonizzare stabilmente l'Isola. Per lunghi secoli, gli incursori provenienti dal mare distrussero villaggi e città, sterminando intere comunità e deportando in schiavitù molta della popolazione locale, che, nel corso del tempo, si allontanò dal mare per fondare nuovi insediamenti, quelli che a poco a poco diventeranno i paesi e le cittadine attuali dell'immediato entroterra, come la stessa Arbus.

Poi Madre Natura ha ricoperto di verde ogni antica storia, di gloria e di dolore, restituendoci il paesaggio odierno, selvaggio e disabitato, che di tanti secoli di vita sulla costa mostra ormai ben poco. E curiosamente, quel poco rimasto sono le tracce più antiche, eredità della misteriosa architettura megalitica dei Nuragici, gli antichi Sardi che, nell'età del Bronzo, navigavano in tutto il Mediterraneo, quando oltremare c'erano i regni dei faraoni, degli Ittiti, degli Assiri e dei Babilonesi. Nei dintorni del promontorio, in territorio di Fluminimaggiore, sono censiti almeno due nuraghi e un pozzo sacro, non ben conservati e nei pressi della vicina Portixeddu si conservano i resti di un porto di epoca romana e dato che questi erano soliti costruire dove le antiche civiltà avevano già lasciato i loro segni, si è ipotizzato che questo possa essere stato usato come approdo naturale anche in epoca preromana. Ma le vestigia più interessanti sono senz'altro le 5 tombe di giganti ancora visibili e ben conservate, allineate lungo il sentiero sterrato che da capo Pecora porta a Scivu. Il sentiero, che segue la linea della scogliera, è percorribile a piedi o in mountain bike e regala emozioni uniche in ogni stagione dell'anno sia per lo spettacolare panorama a perdita d'occhio sull'orizzonte sia per le colossali rocce di granito che si ergono lungo il sentiero, modellate dal vento in forme così particolari da poter essere scambiate per sculture realizzate dall'uomo.

Gli appassionati di arrampicata sportiva, possono divertirsi a scalare queste rocce e le falesie sottostanti, che il noto scalatore italiano Maurizio Oviglia ha definito "un vero paradiso per il clean climbing" e dove ha aperto, nel corso degli anni, circa un centinaio di vie (https://bit.ly/3aE4dlr).

capo pecora 3

Giunti sul punto più alto del sentiero si incontrano i resti in pietra di una vecchia vedetta di avvistamento. Il percorso di trekking, fino a qui, è lungo ma è alla portata anche di bambini abituati a camminare. Vale la pena affrontare una gita di un giorno solo per arrivarci e magari sostare per un picnic, perché lo spettacolo della visuale che si gode dalla vedetta è qualcosa che toglie il fiato per l'emozione. Gli oltre 40 km di Costa Verde saranno tutti insieme sotto i tuoi occhi, da una visuale apparentemente altissima. Lo sguardo abbraccerà la lunghissima e selvaggia spiaggia di Scivu, il bellissimo tratto litoraneo appartenente alla colonia penale di Is Arenas, le immense dune dorate di Piscinas e tutta la costa di Arbus fino a scorgere, nelle giornate più limpide, la penisola del Sinis. E voltandoti indietro, la costa del Sulcis fino all'Isola di Carloforte. E a ovest l’immensa prateria del mare!